Una visita guidata davvero speciale quella organizzata domenica otto dicembre dall’associazione culturale ViviTuscania. Meta dei partecipanti: la splendida basilica di San Pietro, fiore all’occhiello della cittadina viterbese di cui l’associazione culturale porta traccia nel nome. Cos’altro può raccontare San Pietro che non sia già noto, detto, letto scritto da tanti, troppi autori, su ogni singola pietra, lapide, iscrizione? Molto. La magia incontrastata di questa basilica rende unica ogni singola visita, ma quella, guidata, di domenica era una visita del tutto particolare. Per la prima volta, dal terremoto del 1971 che colpì violentemente Tuscania e che ha avuto nella terribile mutilazione della basilica proprio il suo tragico emblema, i comuni cittadini hanno potuto accedere al laboratorio di restauro allestito all’interno del monumento per tentare il recupero dello splendido affresco che decorava l’abside crollata nel sisma. Entrare nel laboratorio è stata un’esperienza unica. Inutile dirlo, intere generazioni di tuscanesi non hanno mai visto l’affresco in questione, altri erano troppo piccoli per poterlo ricordare. Solo gli anziani ne hanno memoria. E’ stato come entrare in un tempio e una volta all’interno del laboratorio, la reverenza ha lasciato spazio allo stupore. Gigantesche riproduzioni fotografiche a grandezza naturale di quelle che erano parti dell’abside, appoggiate alle pareti e sul pavimento, fanno da supporto a singoli, minuscoli frammenti policromi che vanno qua e la incastrandosi in un difficilissimo puzzle per tentare di ricostruire un panneggio, un occhio, un braccio di giganteschi angeli ed un Cristo imponente. Un restauro che purtroppo ha riservato numerose sorprese negative agli addetti ai lavori. Nelle casse di materiale recuperato dai volontari all’indomani del sisma erano mischiati frammenti provenienti da diversi siti. Il materiale proprio dell’abside è scarso o troppo danneggiato per poter tentare di reinserirlo nel suo ambiente originale. Eccolo li, allora, ancora una volta, il dramma del terremoto. Raccontato da poche macchie di colore, superstiti di un’immensa grandezza perduta, testimoniata dalle gigantesche immagini in bianco e nero, perfette per fortuna, di quello che era un affresco sbalorditivo. Una ferita non più rimarginabile, nemmeno dalle tecniche di restauro futuristiche illustrate dal Dott. Werner Matthias Schmid, responsabile del laboratorio. Una ferita che i presenti si portano dietro per tutto il resto della visita guidata alla basilica a cura del Prof Enrico Parlato, ringraziando ogni singola pietra per aver resistito alla furia distruttrice che la natura ha voluto mostrare a Tuscania in quel febbraio del 1971. E una volta fuori sul piazzale, tutti col naso all’insù ad ammirare una vittoria della città: lo splendido rosone che abbellisce la facciata. Un orbita vuota, lo definirono quotidiani e telegiornali all’indomani del terremoto, quando giaceva a terra in frantumi. E’ stato completamente ricostruito e ora svetta lassù più bello di prima. E allora apprezzi l’amore che sapienti mani hanno speso per ridargli vita, per ridare speranza ad un’intera città e quindi anche quei quattro sporadici frammenti incollati su quel passato gigante trovano la propria ragione di esistere: la memoria. Si, perché memoria sono i fasti, ma anche le cadute e per questo ha senso fare una musealizzazione del restauro, conservare le tracce di una storia di antica gloria, di quella che fu una ferita atroce e della pazienza di un lento e doloroso recupero, se non altro, della memoria.
Valeria Sebastiani
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