TARQUINIA – Dopo il successo del debutto ad Agrigento, apre la stagione del Teatro Comunale Rossella Falk il 28 ottobre ore 21, Todo modo nell’ambito della stagione nata dalla collaborazione tra il Comune di Tarquinia e ATCL Circuito multidisciplinare del Lazio, sostenuto da MIC – Ministero della Cultura e Regione Lazio.
È tratto da uno dei romanzi più famosi di Leonardo Sciascia, Todo modo con Pino Quartullo e Isabel Russinova, e con Alessio Caruso, Roberto Negri, Stefano De Majo, Gionathan Montagna, Riccardo Isgrò, Fabrizio Catalano e Massimiliano Buzzanca, adattamento di Matteo Collura e regia di Fabrizio Catalano, nipote dello stesso Sciascia.
Il potere è altrove. Con questa affermazione – secca, lapidaria – Leonardo Sciascia chiuse, nel lontano 1983, la propria esperienza parlamentare. In poco meno di quattro anni, aveva potuto constatare che le decisioni più importanti, per il Paese e per i suoi cittadini, venivano solo formalmente prese alla Camera dei Deputati o nel Senato della Repubblica.
Altrove, lontano da quelli che vengono considerati i luoghi in cui si amministra il potere, forze occulte, nascoste, impalpabili segnavano e segnano – allora come ora – il destino dell’Italia. Atroce realtà, che Sciascia aveva già intuito, in uno dei suoi romanzi più famosi, scritto quasi dieci anni prima: Todo modo. Un’impietosa denuncia dei mali che affliggono la società italiana, e non solo: la corruzione, la schizofrenia del potere e, ancor di più, una dilagante, inarrestabile mancanza di idee. Un libro profetico, dunque, illuminante: che adesso diventa uno spettacolo grandioso, interpretato da nove attori, fedele alla poetica sciasciana, che ribalta le regole del poliziesco.
Nel giallo tradizionale, infatti, il crimine giunge a rompere l’equilibrio di una società perfetta; solo attraverso la scoperta e la punizione del colpevole la ferita, nel tessuto sociale, si rimargina: e tutto torna come prima, come se nulla fosse accaduto. Nelle opere di Sciascia, invece, la società è tutt’altro che perfetta, ed il delitto è c o m e u n v a s o d i Pandora: dal quale fuoriesce l’ingiustizia che permea le nostre società. Il crimine appartiene all’uomo e alla società malata che l’uomo ha creato. Perciò, spesso, è impossibile individuare il colpevole, i colpevoli. Simenon diceva che esistono solo vittime e non colpevoli; Sciascia sembra quasi ribaltare questa affermazione: tutti potrebbero essere colpevoli. In Todo modo, per esempio, alcuni tra i più importanti uomini politici, industriali, rappresentanti del clero, riuniti in un luogo misterioso – l’Eremo di Zafer – per praticare gli esercizi spirituali, vengono assassinatida una mano misteriosa. Uno dopo l’altro. Ne nasce un’inchiesta intricatissima, in cui rimangono invischiati il procuratore Scalambri ed un famoso scrittore, capitato per caso nell’Eremo di Zafer. Un’inchiesta irta di ostacoli, che rischierebbe di far saltare i meccanismi del potere. Ma, contro lo Scrittore e il Procuratore, dapprima nella dorata e sfavillante hall di questo luogo misterioso, quindi nel marcescente sotterraneo ove troneggia la copia de La tentazione di Sant’Antonio di Rutilio Manetti che aveva ispirato lo stesso Sciascia, si erge non solo il muro di omertà degli ospiti dell’eremo, ma soprattutto la personalità, al tempo stesso terribile ed affascinate, di Don Gaetano.
In apparenza, semplicemente un gesuita, che ha organizzato gli esercizi spirituali; in verità, un personaggio assai complesso, un essere astuto, colto, cinico, dotato di un’intelligenza superiore, che appartiene alla genia dei cattivi dei romanzi gotici, o a quella degli antieroi della letteratura russa, dal Grande Inquisitore di Dostoevskij al Demone di Lermontov. Nel corso dello spettacolo, dunque, mentre gli eventi si susseguono a ritmo incalzante, quasi come nei romanzi di Agatha Christie, i protagonisti – uomini con idee e visione del mondo totalmente differenti – si scontrano e si confrontano. Cos’è giusto, e cosa non lo è? A cosa deve aspirare, in cosa deve credere un individuo, una società, l’umanità?
Tutte domande che ci tormentano e a cui, da millenni, noi e i nostri simili cerchiamo invano una risposta. Trovare questa risposta, oggi più che mai, è però impellente. È necessario per evitare il disfacimento e lo sfacelo delle nostre società.
E il teatro – espressione fra le più antiche dell’anima umana, nata in caverne rischiarate dal traballante chiarore del fuoco migliaia di anni fa come fusione di sacro, arte e magia – non può sottrarsi al suo compito. Non può non provare a rappresentare il contropotere della verità. Fabrizio Catalano
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