VITERBO – Dopo la pausa pasquale, riprende, venerdì 1 aprile, la fortunata rassegna sul mondo degli Etruschi. Questa volta il protagonista è il Vino con un racconto che parte dall’antico e giunge fino alle abitudini nelle nostre tavole.
A raccontarlo Maurizio Pellegrini, direttore Archeologo presso la Soprintendenza Archeologia del Lazio e dell’Etruria Meridionale, Responsabile del Laboratorio Didattica e Promozione Visuale e dei Servizi Educativi.
Molti credono che il vino sia stato introdotto in Italia dalle colonizzazioni provenienti dall’oriente e che gli etruschi abbiano contribuito alla sua diffusione ma i risultati di recenti scavi e le ricerche degli ultimi anni hanno confermato che il vino e la sua cultura fosse stata in loro possesso da prima delle colonizzazioni greche. L’esistenza poi di due diversi modi di coltivare la vite, l’uso di vitigni differenti e una grande ricchezza di ambienti ideali per la vite confermano che gli italici producevano e consumavano il vino già in epoca protostorica. Dalle analisi dei materiali venuti recentemente alla luce e dalla loro collocazione negli ambienti è stato accertato l’uso di recipienti interrati per la maturazione del vino e che per impedire l’alterazione del contenuto le pareti dei contenitori, compresi quelli per il trasporto, venivano impermeabilizzati con l’utilizzo di pece o resina oppure cera mista al miele. Vinum, ultimo di tre documentari sugli Etruschi dell’autore, ci fa percorrere i primi passi della cultura del vino attraverso i pensieri di un archeologo della prima metà del novecento che, parlando delle sue scoperte in una lettera/testamento a un futuro collega, racconta la sua teoria della conoscenza delle tecniche di coltivazione della vite e della produzione del vino da parte degli italici già prima delle importazioni dall’oriente.
Altro protagonista della kermesse di venerdi 1° aprile l’elettico Sergio Grasso, TV producer, regista, autore teatrale, attore e conduttore televisivo ma prima di tutto antropologo-alimentare e food-writer. E’ accreditato come cultore e divulgatore di storia sociale del cibo sia in Italia che all’Estero.
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