-da Silvia Scialanca-
Scoprire, conoscere un tesoro artistico significa anche emozionarsi, farsi coinvolgere dalla storia, dal tempo che passa inesorabile lasciandosi dietro tracce e testimonianze dall’inestimabile valore storico-artistico. Ed è questa la sensazione che si prova visitando la chiesa di Sant’Eusebio, emozioni che, a parer mio, forse poche altre chiese riescono a suscitare.
Ed è strano pensare che per secoli e secoli milioni di pellegrini abbiano considerato questa chiesa una tappa fondamentale del loro viaggio verso Roma, mentre la maggior parte dei locali conosce la deliziosa chiesa di campagna solo superficialmente ricordandosi al massimo le scampagnate che fino a qualche anno fa vi si svolgevano il lunedì di Pasquetta. In pochi dunque, ad oggi, riescono ad apprezzare in pieno l’importanza di questo sito, e meno male che esistono associazioni culturali e confraternite che con tutti i mezzi a loro disposizione tentano l’“audace”, ma necessaria impresa di valorizzare e far conoscere luoghi magici come questo. Appena usciti da Ronciglione in direzione Roma, e dopo aver percorso un breve tratto di strada tipicamente campestre, si vede spuntare tra querce e piante di nocciole il più importante monumento paleocristiano della Tuscia nonché la più antica chiesa della via Francigena: la chiesa di Sant’Eusebio è lì, su quel colle, da secoli, resistendo al tempo, alle intemperie e anche e soprattutto al vandalismo sempre più sfrenato e incomprensibile. È lì dal IV secolo d.C., quando Flavio Eusebio – un vicegovernatore della Campania che aveva dei possedimenti in questa zona – decide di far costruire su quel colle un mausoleo per se stesso e per i suoi figli: le sepolture sono tuttora visibili dietro l’altare. Ben presto avviene però un passaggio ancora non meglio definito: il Flavio Eusebio romano viene associato erroneamente all’Eusebio vescovo di Sutri in odore di santità. Ecco quindi l’inizio di un massiccio pellegrinaggio nella zona che determina la trasformazione del mausoleo in una vera e propria chiesa in stile romanico, nella quale i numerosi fedeli hanno lasciato importanti tracce del loro passaggio e della loro devozione: sulle pareti, tra le varie iscrizioni, sono stati individuati ben 53 graffiti in onciale romano, così come è facile che il terreno restituisca antichi fiorini del Trecento. La complessa stratificazione temporale e quindi artistica è ben evidente sia a occhi esperti che ai semplici appassionati di storia dell’arte. Un piccolo scrigno, dunque questa chiesa, custode di tesori assolutamente da preservare: dalle colonne zoomorfe che poggiano su un’antica base, forse di un tempio dedicato al dio Sole, al sarcofago romano addossato alla facciata, e ancora ai resti di importanti affreschi (pensate che le pareti della chiesa erano un tempo totalmente affrescate!): “L’ultima cena”; “L’albero di Jesse” che schematizza l’albero genealogico di Gesù e che è il più antico d’Europa su questo tema; “Il Cristo benedicente tra quattro santi” tra cui lo stesso sant’Eusebio, le “Vergini prudenti” e una “Madonna col Bambino tra i santi Eusebio e Stefano” del Quattrocento. Ogni angolo della chiesa così come tutto il terreno circostante trasudano secoli e secoli di storia, e sabato 26 luglio 2014, in occasione di una visita guidata organizzata dall’Associazione culturale “Andar per Arte” è bastato ascoltare le parole dell’architetto Pietro Paolo Lateano per vedersi scorrere di fronte agli occhi immagini d’altri tempi che, come diapositive in bianco e nero, hanno fatto sì che ognuno dei presenti potesse immaginare la storia della chiesa, quando un tempo era gremita di gente, quando un tempo era ancora vissuta ogni giorno e con devozione. Immaginate soltanto la grandissima quantità di fedeli che deve aver percorso queste antiche strade, pellegrini provenienti da zone remote che stanchi e stremati dal lungo viaggio avranno sicuramente tirato un sospiro di sollievo scorgendo già da lontano la torre campanaria della chiesa, purtroppo crollata negli anni Quaranta. Lo stesso sospiro di sollievo che abbiamo tirato noi visitatori nel renderci conto che ora la chiesa è in buone mani grazie all’operato e all’impegno della Confraternita Maria SS. di Sant’Eusebio che la custodisce e la salvaguarda con grande cura. Una visita guidata necessaria e a dir poco interessante, durante la quale non è stato difficile lasciarsi emozionare dai suoni spirituali delle campane tibetane suonate dal maestro Neil Maroni, mentre intorno cadeva la pioggia e cantavano le cicale. Un’atmosfera indescrivibile in un luogo che sprigiona un’energia e un fascino inspiegabili forse alla base dei motivi che hanno spinto la regista Liliana Cavani a scegliere anche la chiesa di Sant’Eusebio come set per il suo nuovo film su san Francesco. Lì, su quel colle che guarda verso il Soratte, su quel terreno che nasconde sorgenti d’acqua c’è una parte della nostra storia molto importante che deve essere assolutamente tutelata, valorizzata e diffusa per noi e per i nostri figli: “Ogni grande opera d’arte ha due facce, una per il proprio tempo e una per il futuro, per l’eternità” (Daniel Barenboim).
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