Viterbo è nota, soprattutto, per la sua patrona Santa Rosa, il cui apostolato assicurò alla Tuscia un grande rinnovamento spirituale nel XIV secolo. A distanza di 400 anni, però, sarebbe sbocciato nella città dei Papi un altro fiore: Giacinta Marescotti.
Clarice è questo il suo nome al secolo nacque il 6 marzo 1585 a Vignanello, sul versante orientale dei Monti Cimini, nel castello avito, attualmente appartenente ai principi Ruspoli, eredi dei Marescotti. Il padre, Marcantonio Sforza, e la madre, Ottavia Orsini, trasmisero la fierezza delle nobili origini alla figlia, che dimostrò subito un ingegno precoce ed una vivacità eccezionale.
Preoccupati dalla sua irrequietezza, i genitori pensarono di affidarne l’educazione alle terziarie francescane, nel monastero fondato a Viterbo da S. Bernardino da Siena. Ma il temperamento di Clarice non era fatto per il chiostro; sapendosi dotata di una non comune bellezza, lei, giovane, nobile e ricca, vagheggiava di unirsi in matrimonio con qualche personaggio a lei pari.
E per questo, dopo circa un anno, lasciò il monastero e fece ritorno a Vignanello. Il suo sogno sembrò avverarsi quando conobbe il giovane marchese Paolo Capizucchi, del quale si invaghì. Nei piani del padre, però, il nobile era considerato un buon partito non per Clarice ma per la sorella minore Ortensia. Fu così che Marcantonio da vero padre-padrone obbligò Ortensia a fidanzarsi con il Capizucchi, spingendo Clarice a consacrarsi alla vita religiosa nel monastero di S. Bernardino. Essa accettò la decisione paterna a malincuore ma senza scenate e senza clamori. Il suo orgoglio fu più forte dell’ira.
Quando l’8 gennaio 1605 entrò nel monastero, aveva 20 anni. Il giorno dopo il suo ingresso avvenne la vestizione, e nell’indossare il saio francescano mutò il suo nome in quello di Giacinta. Sfruttando lâinfluenza e la ricchezza della sua famiglia , pretese che le si allestisse un appartamento allâaltezza del suo rango e lo arredò con mobili e quadri preziosi. Dispose, inoltre, che la sua tonaca e il suo velo fossero di fine stoffa.
Per ben dieci anni Giacinta visse a S. Bernardino “in abito religioso ma con spirito secolaresco”. Sui trent’anni, però, fu colpita da una malattia che la costrinse a letto per alcuni mesi. Un giorno capitò nel monastero Antonio Bianchetti, un dotto sacerdote francescano, molto stimato nell’ordine. Lei chiese dâincontrarlo per la confessione ma il frate, appena entrato nellâappartamento, colpito dallo sfarzo di cui si circondava la religiosa, la ammonì con severità “A nulla gioverà confessarvi. Il Paradiso non è fatto per le persone superbe e vanitose come voi”.
E si allontanò rifiutando di confessarla. Illuminata dalla grazia, Giacinta comprese allora che Dio, attraverso il rimprovero del suo ministro, la invitava a ritornare a Lui. Da quel momento iniziò per lei il cammino verso la santità , attraverso le tappe della preghiera, del sacrificio e della carità.
Qualche giorno dopo, indossando una rozza tonaca di sacco si recò in refettorio per chiedere perdono alle consorelle a motivo dello scandalo loro arrecato con il suo comportamento. Abbandonò, poi, il confortevole appartamento, scegliendo una cella angusta dove volle come unico ornamento una rozza croce che arrivava fino al soffitto. Da quella croce pendeva una grossa catena con la quale Giacinta si legava quando andava a riposare nel suo giaciglio fatto di assi di legno, con una pietra per guanciale. Ridusse il suo vitto a un solo pasto al giorno, cibandosi di pezzi di pane avanzato e di erbe amare.
Da terziaria, Giacinta non era tenuta alla clausura rigida e , pertanto, poteva ricevere visite. Riusciva così a conoscere da vicino i problemi delle persone più bisognose che riusciva a confortare e a soccorrere in tutti i modi. A lei si deve la fondazione di due confraternite per lâassistenza e la cura dei poveri, degli anziani e degli ammalati. La prima fu chiamata dei Sacconi perché gli iscritti andavano vestiti di sacco e ad ore stabilite passavano per le vie della città suonando un campanello e invitando i cittadini a offrire cibi e offerte per i poveri.
Su ispirazione di Giacinta alcuni laici si riunirono, poi, in una comunità laicale dedita alla preghiera e alla carità verso il prossimo: una nuova forma di vita religiosa, intesa a realizzare una consacrazione totale a Dio pur rimanendo nel mondo.
Ma per Giacinta, sfinita dalle penitenze, dal lavoro organizzativo e dalle preoccupazioni, si avvicinava a grandi passi lâora di incontrare quel Gesù al quale aveva consacrato tutta la sua vita. Dolcemente spirò come “fior che langue, o come lume che da sé si spegne, su la sera del 30 gennaio dellâanno 1640 e dell’età sua 54″.
Con la morte non si spense la fama della sua santità. In occasione della beatificazione, avvenuta nel 1726, fu ordinata dalla Santa Sede la ricognizione delle reliquie, che vennero riposte nell’urna ancora oggi esposta alla devozione dei fedeli. Finalmente il 24 maggio 1807 il Papa Pio VII la elevava all’onore degli altari.
I bombardamenti aerei dell’ultima guerra danneggiarono gravemente il monastero di San Bernardino e distrussero completamente la chiesa. Nel nuovo tempio, lâ urna con le spoglie della Santa, è stata sistemata in una raccolta cappella chiusa da unâartistica cancellata. La fiorente comunità francescana continua ad accogliere ,come nei secoli passati, i devoti e i visitatori con spirito di servizio
Sarà il vescovo diocesano, Lino Fumagalli, a presiedere domani 30 gennaio alle 11, nella ricorrenza del “dies natalis” di Santa Giacinta, una solenne concelebrazione nella chiesa del Monastero di San Bernardino a Piazza della Morte. Concelebreranno con il presule i religiosi delle t famiglie francescane presenti in Diocesi e rappresentanti del Capitolo della Cattedrale e del Clero. Alla cerimonia presenzierà anche il Principe di Cerveteri don Marescotto Ruspoli, appartenente dalla famiglia della santa, e una rappresentanza della delegazione di Viterbo e Rieti del Sovrano Militare Ordine di Malta, di cui la santa è patrona
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