VITERBO – Una classica commedia dell’antica Roma, l’“Anfitrione” di Plauto, in scena a Ferento venerdì 26 luglio (ore 21,15), nell’antico teatro romano.
Interpreti del capolavoro di Plauto, per la regia di Livio Galassi, saranno Franco Oppini e Debora Caprioglio. Per quest’ultima si tratta di un gradito ritorno, dopo la splendida interpretazione offerta lo scorso anno in “Callas d’incanto”.
“Dopo i due allestimenti di “Casina”, uno con Mario Scaccia, l’altro con Lando Buzzanca – scrive Livio Galassi nelle note di regia – dopo “Pseudolo” con Paolo Ferrari e Giustino Durano, “Il vantone” con Paolo Ferrari e Ninetto Davoli, “Truculentus (La Marpiona)” con Anna Mazzamauro e Gina Rovere, “Mercator” con Antonella Elia, e i due allestimenti di “Menecmi”, uno con Franco Oppini, Mita Medici, Nini Salerno, il secondo con Tato Russo, ora fiorisce un altro Plauto, su un terreno frequentato. Questa volta dall’Olimpo scendono sul palco gli dei a divertirci e coinvolgerci con la spudorata beffa che solo una divina perversione può escogitare, a danno dell’ignaro Anfitrione di cui Giove ha preso l’aspetto per sostituirsi a lui nel talamo nuziale accanto alla bella Alcmena; protetto dalla sadica complicità di Mercurio che ha assunto le sembianze del servo Sosia. E quando Anfitrione ritorna vittorioso dalla guerra si scatena la sbrigliata fantasia di Plauto, magistralmente esaltata dal gioco dei doppi, degli equivoci, dello smarrimento di identità, che ci conduce a contemporanee alienazioni. La trama si complica, si contorce, si arrovella fino al più esilarante, inestricabile parossismo che solo il “deus ex-machina” riuscirà felicemente a dipanare. A questo “Anfitrione” – dichiara il regista – mi accosto con lo stesso spirito con cui ho curato i precedenti: rispetto del testo plautino – fanno eccezione, naturalmente, la riscrittura pasoliniana de “Il vantone” e quella partenopea de “I Menecmi” di Tato Russo – , ricostruzione delle sue pirotecniche lessicali reinventando – per quanto possibile – le sue godibili sonorità, uno snellimento della trama a favore di una più diretta comunicativa, un dinamismo gestuale e recitativo che ripercorre le feconde intuizioni che, nate da Plauto, attraverso la Commedia dell’arte sono giunte fino a noi. Uno scoglio non da poco la perdita di circa trecento versi, e nel momento più significativo della commedia: l’incontro dei due Anfitrioni. Aggrappandomi agli sporadici frammenti, mi sono applicato a intuire, più che nuovi dialoghi, l’esilarante alienazione che può nascere dall’incontro di tutti i doppi: quindi pochi efficaci dialoghi in funzione dell’analisi psicologica, della mimica, delle attese del pubblico, a descrivere teatralmente uno smarrimento di identità collettivo – purtroppo perduto. Sottolineo infine – conclude Galassi – il cinico gioco di potere “di chi può”, che getta scompiglio e rovina nei destini umani; in Plauto tutto si risolve felicemente, nella vita invece…”.
La trama della commedia: Giove, preso d’amore per Alcmena, ha assunto le sembianze del marito di lei, Anfitrione, mentre costui combatte contro i nemici della patria.
Gli dà manforte Mercurio, travestito da Sosia; egli si prende gioco, al loro ritorno, del servo e del padrone. Anfitrione fa una scenata alla moglie; e i due rivali si danno l’un l’altro dell’adultero. Poi si scopre tutto.
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