VITERBO – «È la mia passione per tutto quello che è pirandelliano che mi porta ad accettare la sfida». Parola di Michele Placido, interprete e regista di Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello in scena al Teatro dell’Unione mercoledì 5 dicembre nell’ambito della stagione teatrale promossa da ATCL – Associazione Teatrale fra i Comuni del Lazio con il finanziamento del Ministero per le attività Culturali, della Regione Lazio e del Comune di Viterbo.
«Questa – spiega – è la mia terza regia teatrale su un testo del Girgentano, dopo Così è se vi pare e i due atti unici La carriola e L’uomo dal fiore in bocca. In passato ho girato un film La scelta, tratto dalla novella e dalla pièce L’innesto, incentrato sulla violenza che una donna subisce. Anche in Sei personaggi è presente una forma di violenza molto ambigua, attuata dal Padre nei confronti dell’umile moglie che pure ha amato e gli ha dato un figlio, ma con la quale ha poco da condividere sul piano intellettuale». Deciderà perciò di farla innamorare del suo contabile; un piano “diabolico” ma a suo dire “a fin di bene”, almeno per la donna che sarà più felice nel nuovo rapporto da cui avrà tre figli. Placido coglie ulteriori aspetti inediti legati all’abbandono dell’autore, che rifiuta le proprie creature, turbato dal loro sviluppo. Il contabile muore, la Madre torna in città con i Figli, il lutto getta la famiglia in gravi ristrettezze. La situazione precipita quando il Padre e la Figliastra hanno un incontro intimo e molto traumatico in una casa di piacere.
«È scabroso l’affair che il sestetto pirandelliano chiede da quasi un secolo di esplicitare in scena. E si spiega perché una siffatta famiglia è stata abbandonata dall’autore, atterrito all’idea di alimentare una vicenda tanto scandalosa. Allo stesso tempo trovo sia presente un senso di ribellione da parte dei “personaggi”, che andranno appunto alla ricerca di un’origine e, nel nostro caso, di una Compagnia incline a privilegiare testi che parlano della società di oggi, delle sue drammaticità: il femminicidio, le morti bianche o anche l’impossibilità di un legame sentimentale, dovuta all’alienazione dell’uomo contemporaneo». Così Placido riassume le linee dello spettacolo. Coerentemente con il metateatro di Pirandello, la richiesta dei “Sei” di dare vita al loro dramma coincide qui, più che mai, con la funzione che è propria del palcoscenico, ossia accogliere la rappresentazione. Nella lettura di Placido, quella “commedia da fare” è un inno al teatro che mai abdica alla propria missione. E perfino qualcosa di più: «Che una Compagnia intenta a provare mini-drammi quotidiani venga in qualche modo spiata da presenze o fantasmi, anche se Pirandello era contrario a questa parola, mi rafforza nella convinzione che il testo sia pieno di suggestioni soprannaturali. Un’intuizione affascinante mi ha accompagnato dall’inizio: che un palcoscenico possa sorgere laddove prima esistevano giardini, fontane, piccole ville. Luoghi in cui poteva accadere la storia che racconteremo, la storia dei Sei personaggi. Mi voglio anzi illudere che sia realmente accaduta: a cosa serve l’illusione, altrimenti, se non per crearne una messa in scena?»
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