Con “Eva Braun, l’altra metà del fuoco – la donna e l’amante che scoprì il male” di Alessandro Valenti con Antea Magaldi nel ruolo di Eva Braun e Carlotta Oggioni nel ruolo di Antonia Pozzi, dopo il rinvio al 13 settembre (per il pericolo di pioggia) di “Serata Trilussa”, si apre il 12 settembre, alle 21 nei giardini di palazzo dei Priori la 13esima edizione del festival “Spazi e memoria” diretto da Marco Prosperini.
Uno spettacolo particolare. Alessandro Valenti accingendosi a scrivere un testo teatrale che ha per tema gli ultimi 50 minuti di vita di Eva Braun, amante di Adolf Hitler per 13 anni, moglie del Fürher per un giorno e vedova del dittatore per un’ora, si è reso perfettamente conto che in alcun modo si sarebbe potuto sottrarre all’oscurità densa e monocroma della vicenda.
Il dramma di Eva Braun si consuma nel bunker berlinese dove la novella sposa ha appena aiutato un Hitler devastato dal morbo di Parkinson a suicidarsi, dove lei stessa ha ingoiato la dose letale ma non fulminante di cianuro e dove Magda Goebbels si suiciderà con il marito Joseph dopo aver ucciso i suoi sei figli.
Il bunker è il luogo della follia che si rivela nelle parole di Eva morente, ancora piene di rancore nei confronti di quella Magda Goebbels, presunta ex-amante di Hitler. Un’Eva Braun, quella di Valenti, davvero di marca beckettiana, personaggio mirabilmente colto nella sua patologica doppiezza.
Da un lato Eva si racconta come una trentatreenne carina, che avrebbe potuto fare “la commessa in un negozio di scarpe” o forse l’attricetta, e che ha confuso l’entourage del Fürher, dove cortigiane, mogli di gerarchi e maliarde si contendono Adolf, grottesco “principe azzurro”. Dall’altro lato c’è l’Eva Braun che si propone come creatura plasmata da quello che reputa “il più grande uomo della nazione tedesca”; Eva si rivela essere mistico, animale sacrificale, votato a consumarsi, segnata da un destino che la indirizza ad essere – come scrive Valenti – “l’altra metà del fuoco”.
Nella finzione l’autore immagina che, a far da compagna a Eva Braun negli ultimi 50 minuti della sua vita, compaia l’anima della poetessa milanese Antonia Pozzi, nata lo stesso anno di Eva (1912), ed è una fragile biondina che si è data la morte, a 34 anni, con un flacone di barbiturici. Cosa ha a che fare con la ragazzotta Eva Braun? Le accomunano l’amore.
Entrambe vivono tragicamente il sogno dell’amore perfetto: Eva, come sappiamo, per quello che riteneva “il più grande fra tutti i tedeschi”; Antonia per il suo professore di greco e latino del liceo. Un amore, quest’ultimo, per nulla adolescenziale. Antonia è l’Agostino petrarchesco di Eva, la voce-guida che vorrebbe aiutarla a ridimensionare il mito di Hitler. A riportarla, in extremis, all’orrida realtà che la sposa di Hitler disconosce.
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