Ancora un grande successo per Il Salotto delle 6 Giallo Cronaca, con la Sala Cardarelli strapiena per l’appuntamento dedicato al Mostro di Firenze. Ospiti le criminologhe Alessandra Severi e Wilma Ciocci, che hanno esaminato tutto il percorso giuridico, investigativo e giudiziale del caso Pacciani nel loro libro “Flop criminologico” e il giornalista di Repubblica Inchieste Alessandro Cecioni, coautore con Gianluca Monastra di “Il Mostro di Firenze”.
“Un caso di estrema rarità a livello mondiale” sottolineano le criminologhe: dal 1968 al 1985 sedici vittime uccise con ferocia, legate dall’utilizzo della stessa pistola per tutti gli omicidi. Ancora aperti molti quesiti: perché proprio Pacciani? Era necessario dover chiudere il caso con una sentenza sui “compagni di merende”? La pistola, mai ritrovata, come è passata a Pacciani e ai sardi?
Cecioni si sofferma sui tre delitti efferati del 1982, tutti compiuti con la medesima arma, e sul maresciallo che si ricordò, proprio nel 1982, del delitto del ’68 di cui furono vittime Antonio Lo Bianco e Barbara Locci, compiuto proprio con una Beretta calibro 22 di cui si persero le tracce, e sul legame con questo fatto. Sull’Italia di quegli anni, così diversa dal punto di vista dei costumi sessuali, dei tabù poi svelati, dei guardoni dietro i finestrini delle auto delle coppiette. Su quella realtà povera dei “compagni di merende”, “un ambiente di periferia che inizia a perdersi nella campagna slabbrata, non perfetta e curata come quella delle belle ville toscane”. Sulla mancanza di scientificità nelle inchieste di allora, quando fino al 1984 non era possibile individuare il gruppo del sangue ritrovato sulla scena del delitto.
Secondo Alessandro Cecioni, il delitto del 1968, per il quale venne condannato a 13 anni il sardo Stefano Mele, marito della Locci, fu premeditato, ma la questione della pistola andava a complicare la situazione e riaprire il processo sarebbe stata cosa complicatissima, per cui si venne a creare il caos e una frattura all’interno della stessa Procura di Firenze.
Certo, Pacciani era un personaggio “mostruoso”, ma non vennero prodotte prove sufficienti per attribuirgli l’omicidio del 1968.
Molte quindi le incongruenze e i punti oscuri, su cui si soffermano col giornalista le due criminologhe, legati anche alla figura di Suor Elisabetta, divenuta assistente spirituale di Pacciani e, secondo il poliziotto e scrittore Michele Giuttari, allora investigatore del caso, amministratrice dell’ingente conto di Pacciani, sul quale però non ci sono tracce di bonifici.
“Non bisogna fare dietrologia ma andare sempre sulla semplicità”, afferma Cecioni. “Potrei pensare che il Mostro di Firenze fosse sulla scena del delitto nel 1968 vista la continuità dell’uso della Beretta”.
Una inchiesta infinita e buia, dai risvolti orrendi e spietati, attorno a quello che fu il primo caso mediatico di notevole impatto.
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