-da Giovanni Fonghini-
Lo scorso 3 settembre alle ore 21 si è ripetuta a Viterbo la tradizione plurisecolare del trasporto della Macchina di S. Rosa. Le origini religiose del trasporto nascono il 4 settembre 1258: una solenne processione guidata da Papa Alessandro IV traslò il corpo incorrotto della giovinetta Rosa, venerata dal popolo viterbese già in vita prima della sua morte a circa 17 anni, dalla chiesa di S. Maria in Poggio, meglio conosciuta come la Crocetta, alla chiesa di S. Maria delle Rose, oggi Santuario di S. Rosa.
Il 4 dicembre ’13 a Baku in Azerbaigian una commissione dell’Unesco ha dichiarato la Rete delle Grandi Macchina a Spalla – ne fanno parte le città di Viterbo, Nola, Sassari, Palmi – patrimonio immateriale dell’umanità. Un riconoscimento prestigiosissimo, che a Viterbo ha premiato l’impegno e il lavoro di 7 anni del Sodalizio dei Facchini di S. Rosa e di altre istituzioni locali. Cercando nel web ho trovato un lancio dell’agenzia di stampa Adnkronos del 29 agosto 1996, che così descriveva la suggestione di questo evento spettacolare:
“VITERBO: ”IL CAMPANILE CHE CAMMINA” IL 3 SETTEMBRE
Roma, 29 Ago. -(Adnkronos)- Un campanile alto 33 metri, pesante 50 quintali, portato sulle spalle da cento uomini vestiti di bianco con una cintura rossa. E’ il ‘Trasporto della Macchina di Santa Rosa’, che il giornalista Orio Vergani defini’ ”il campanile che cammina” e che rappresenta uno spettacolo unico al mondo che si ripete, da piu’ secoli, ogni 3 settembre a Viterbo.
Questa mole, illuminata da mille fiammelle, che incede quasi a passo di danza, parte alle 21 da Porta Romana e con la sua altezza supera i tetti delle case e illumina le strade volutamente buie della citta’, mentre la folla esultante acclama la ”Macchina” e i ”facchini”. Cosi’ infatti sono chiamati – ma non nella moderna accezione dispregiativa, anzi – i 100 uomini che trasportano l’enorme campanile. Lo spettacolo piu’ emozionante e’ costituito dalla ripida salita, 150 metri con una pendenza del 14%, che conduce fino alla chiesa di Santa Rosa e che viene affrontata di corsa. Li’ termina la processione che dura poco piu’ di un’ora e mezza.
(Red/As/Adnkronos”.
Rileggere quel lancio di agenzia del 1996 mi ha riportato indietro con la memoria, quando per 3 anni, dal 1995 al 1997, con il compianto amico Carlo Maria Cardoni ci occupammo, per conto dell’amministrazione comunale di Viterbo guidata da Marcello Meroi, della promozione istituzionale dell’immagine della Macchina di S. Rosa nei confronti dei mezzi di informazione e di altri pubblici selezionati. Il web aveva pochissimi anni e il nostro lavoro, coadiuvati da collaboratori motivati e spesso pazienti fino all’inverosimile, ci vide impegnati per alcuni mesi senza sosta tra telefonate e chilometri di fax: quotidiani, settimanali, redazioni di programmi televisivi, emittenti radiofoniche, agenzie di stampa italiane e straniere. Ricordo ancora una giornalista che sentendo il termine “Macchina” pensò potesse trattarsi di una corsa. Era un lavoro molto in salita quello che Carlo e io facemmo. Ma i risultati non mancarono. Quest’anno, forti pure del riconoscimento dell’Unesco, mi sarei aspettato da parte del comune una promozione forte e incisiva, sia sul piano dell’informazione che investendo in pubblicità. I media locali, insostituibili, fanno la loro parte, ma la Macchina di S. Rosa merita l’attenzione di una platea più ampia, che valichi i confini della provincia e quando va bene quelli regionali del Lazio. I viterbesi sanno da sempre ancor prima del riconoscimento dell’Unesco, e lo stesso dicasi per gli altri non autoctoni che hanno avuto la fortuna di vederlo, che assistere al trasporto della Macchina di S. Rosa è uno spettacolo indimenticabile che commuove, emoziona, fa piangere, toglie il fiato. L’ammirazione per l’enorme sforzo fisico che fanno i suoi portatori, i Facchini di S. Rosa, si fonde al folclore, alla devozione religiosa e popolare per la Santa, Rosa. Nell’immaginario collettivo italiano ed europeo, e forse oltre, il Palio è Siena. Vorrei che lo stesso accadesse per la Macchina di S. Rosa, che divenisse nell’immaginario un tutt’uno con Viterbo. Non si può prescindere dalla televisione, se si vuole far crescere la risonanza e la conoscenza della Macchina di S. Rosa al di fuori delle mura civiche.
La Macchina di S. Rosa si merita una prima serata televisiva di un canale nazionale. Se si vuole volare alto. Se invece ci si vuole accontentare dell’attuale statu quo, che vede Viterbo e la provincia relegate ad un ruolo molto marginale rispetto ad altre città affini per storia, dimensioni e tradizioni, va bene pure continuare così.
Santa Rosa forse potrebbe compiere un miracolo agognato e sospirato: illuminare le menti delle classi dirigenti viterbesi.
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