– da Luigi Catena –
Battere il tempo: il Tempio di Northia a Bolsena
Questo particolare ritrovamento avvenuto in Bolsena, verso i primi del 1900, riguarda uno strumento necessario per il più importante rito degli Etruschi.
C’è un forte legame tra popolazione, territorio, riti, cerimonie sacre, festa. La parola festa, significa soprattutto riposo, vale a dire, non lavoro. Quel giorno assume un particolare significato la distinzione tra sacro e profano: dedicare il tempo anche al sacro. Scandire ritmi, scadenze, alle attività cultuali. Festa, antico termine riferito al sacro: venerare,onorare, celebrare, ricordare, era una festa. Ma tutto questo si poteva esercitare solo avendo di fianco un calendario, uno strumento utile a programmare e ricordare certi ritmi. C’era un certo criterio, una certa logica: era scandito e fissato un tempo.
In questa circostanza, assume una valenza importante, la battitura del chiodo al tempio di Northia in BOLSENA. Questo rituale si allineava con riti agrari precisi, puntuali, perché coordinati con i ritmi del sole, della luna, delle costellazioni e dei pianeti. Una famosa frase, di un noto scienziato, diceva…”nulla si crea e nulla si distrugge”…Nulla nasce per caso, se esiste qualcosa, qualcosa lo ha generato, per servire a qualcosa. C’è sempre un legame, anche se piccolo, e si chiama motivo. La battitura del chiodo a Bolsena era dettata da un grande motivo sacrale, perché coincideva, come hanno scritto storici latini, con un avvenimento solenne ed antico per il popolo etrusco. Un rituale che pochi prendono in considerazione, in quanto, forse, non se ne è capita l’importanza. Ma forse è più importante di una tomba con arredi preziosi e ceramiche.
Ora ci troviamo dinanzi a un reperto,unico in tutta l’Etruria, fino ad oggi, poco conosciuto, pubblicato e non citato in diversi saggi o in riviste specializzate. Questo tipo di strumento di bronzo (ascia-martello), non è preso in considerazione, in quanto come afferma qualche archeologo (i famosi “esperti”) vi è l’incertezza della provenienza del ritrovamento….Qui si intravede una giustificazione insolita e mirata a nascondere tale “scoperta”.
La relazione dell’archeologa Lucia Morpurgo su incarico avuto dal dott. Luigi Pernier, presentata e approvata dall’Accademia dei Lincei, dà in poche parole la certezza scientifica che quel reperto proviene da Bolsena. Nella importante relazione dell’archeologa Lucia Morpurgo sono esposte notizie mitografiche e storiche frutto della sua ricerca, con precisi e puntuali riferimenti. Scrive la Morpurgo, citando uno scritto dell’archeologo Ettore Gabrici: ”furono trovati dei grossi chiodi, ‘clavi trabales’, insieme ad altri strumenti relativi all’aurispicina, trovati nella stipe votiva della dea (Northia). (dalla relazione di E. Gabrici in Mon. ant. d. Lincei XVI, 1906, c. 189 e 122). Ci troviamo, in base a queste notizie pubblicate pur un secolo fa (1927), ma sempre valide, davanti ad un comportamento veramente strano. L’insabbiamento, mirato e voluto, dimostra che la scoperta di Bolsena è una grande scoperta archeologica: a Bolsena ogni anno veniva segnato il tempo nel tempio di Northia. Ma con un preciso rituale: con i lunghi chiodi (clavi trabales), usando un’ascia-martello sacrale. Nei lati di tale strumento sono raffigurati una divinità alata, associata alla dea della Fortuna-Northia, e dall’altro lato il suo compagno o parèdro, Vertumno ( in Etrusco Veltha o Veltune). Così si legge nella relazione della dott.ssa Morpurgo. Emerge un comportamento che è quello di affossare, coprire,non far sapere di questa scoperta archeologica, del tipo di ricerca maturata e redatta da persone di un certo spessore scientifico e con l’approvazione dell’Accademia dei Lincei.
Ora il motivo per cui “non esiste la certezza del ritrovamento a Bolsena dell’ascia-martello”. è puerile e sterile, però efficace nel suo scopo che è quello di coprire. Ora ci si trova davanti sempre alla solita confusione, voluta, di modo che la chiarezza storica sia messa in un angolo. Sembra di assistere alle solite trame all’italiana. Parola molto diffusa in certe occasioni:”depistaggio”.
Boicottare questo tipo di ricerche e scoperte perché? Dov’è il movente? Perché ripetutamente si continua a spostare un dettato storico diverso dalla realtà? Che cosa spinge questo comportamento, quali motivi? Nascono questi forti dubbi in quanto la chiarezza storica di questi fatti, di queste prove, di questi ritrovamenti, vengono volutamente messi dentro un cassetto e buttata la chiave. Allora qualsiasi studente e ricercatore corre il rischio di costruirsi un pensiero ed una opinione storica non esatta o comunque non veritiera, in riferimento alla storia di Orvieto e Bolsena. Quindi , il percorso storico non è lineare come dovrebbe essere, lo studio e la ricerca di conseguenza sono pieni di confusioni, di date che non collimano con la verità della storia. Tutto questo impianto costruito in decine e decine di anni, una lunga stratificazione, una sorta di macedonia, nella quale la prima operazione è fare chiarezza. Perché ora si assiste ad una sorta di pseudo- informazioni storiche del territorio volsiniese ancora più contorto. Nascono 2 Fanum, uno etrusco ad Orvieto e poi uno romano a Bolsena. A questa confusione ci si aggiungono: due rituali, sempre uno etrusco ed uno romano delle rispettive città dove avveniva il famoso rito del “ clavus trabalis”. Siamo ad un livello che va oltre la fantascienza. Comunque una considerazione ne viene fuori: ci si sta arrampicando sugli specchi. Tutte le osservazioni scritte da diversi archeologi, e da altre persone con diversi titoli accademici, che non credono alla ipotesi orvietana, hanno creato enormi crepe nel muro delle tesi di Orvieto. L’aspetto interessante è che un piccolo gruppo di archeologi ed una parte della Soprintendenza, sostenitrice dell’ipotesi orvietana, ogni tanto riscrivono la Storia, pur di non fare quello che la logica chiede. Dall’altra c’è un mondo accademico silente, o dormiente. Vale a dire, forse si aspetta che il castello di carte cada completamente. Perché le storture sono troppo evidenti, c’è troppo divario di credibilità tra le varie opinioni. Anche perché sta nascendo un nuovo pensiero da nuove valutazioni, sempre in merito al tema in questione. Qui non si tratta di avere una laurea o meno, o un titolo di studio in più. Qui la questione si pone su un altro livello e coinvolge uno strato di persone ch và al di fuori del dettato accademico. Perché il sapere, la ricerca, lo studio, le conoscenze riferite a libri, scritti, saggi, pubblicazioni, escono dalle mura scolastiche. Con la diffusione di Internet, nel mondo intero circola più materiale e in modo diverso e veloce rispetto non ad un secolo, ma a pochi anni fa. Oggi c’è la possibilità di venire a conoscenza o prendere visione, di studi e ricerche una volta relegati in istituti accademici, in biblioteche universitarie o archivi storici. Porto un esempio, fino a pochi anni fa, la ricerca della dott.ssa Morpurgo, non era conosciuta da nessuno, nessuno l’ha mai citata, per motivi diversi e uno potrebbe essere il famoso cassetto. Eppure è e rimane un documento di estrema importanza storica, archeologica ed antropologica. L’ascia-martello, oggetto sacrale, così l’ha definito la Morpurgo è di estremo valore in quanto racchiude in sé un simbolismo relativo ad un importante rituale astrale e agrario degli etruschi. Questa tradizione sacra fino ad oggi risulta, unica in tutta l’Etruria, il che significa, un rito unico,da non potersi ripetere da altre parti. Diversi i templi dedicati alla dea Northia nel viterbese:Bolsena, Capodimonte,Ferento e Sutri. Era anche una divinità salutare, vedi le offerte votive, parte degli organi del corpo umano, occhi su lamine d’oro, altre parti in terracotta, ma era anche una divinità agraria, vedi offerte votive di, spighe di grano in oro e argento. Il rituale del chiodo era una manifestazione che, in quel giorno, indicava la fine e l’inizio di qualcosa, misurava il tempo. E si ripeteva ogni anno, quindi richiamava un ciclo anche solare, legato alla terra, al suo antico culto della fertilità ed ai suoi prodotti. Ora nel rito del “clavus trabalis”, quale strumento veniva usato? Non c’è bisogno di una laurea in archeologia per capire, è la logica che ti porta a fare una riflessione. Quindi questa ascia-martello trovata in Bolsena, ha come dice la Morpurgo una valenza riferita ad un rituale sacro. Il tipo di metallo (bronzo), le decorazioni, l’usura della testa dell’ascia, dove si vede lo schiacciamento per i colpi dati ai chiodi dimostrano che non poteva essere che quello l’attrezzo usato al tempio di Northia. Ora a parte le motivazioni molto futili, e soprattutto indecorose per la storia di Bolsena, nessuno ne parla. Allora possono sorgere dei dubbi: perché il mondo accademico, nelle sue pubblicazioni non ne parla? Perché è ignorato il saggio pubblicato dall’Accademia dei Lincei, un organo scientifico con un alto spessore di credibilità? C’è chi lo vorrebbe far passare per un ritrovamento poco chiaro, perché non viene da uno scavo e perché il saggio della Morpurgo comincia ad essere “vecchio e superato”. Queste affermazioni mettono in risalto evidente il boicottaggio, l’affossamento , di questa scoperta bolsenese. Per adottare questo metodo vuol dire che qualcosa d’importante c’è in questa scoperta. Perché l’oggetto è stato trovato, non è un falso, è datato III secolo a.c.,è un’ascia-martello e non una pala, serviva per battere qualcosa. Allora dove nasce il problema, perché nessuno ne parla? Qui sicuramente c’è una levata di scudi: non siete titolati, siete dei ciarlatani, ecc. Oppure non bisogna dargli il giusto valore, ma ignorarlo, declassarlo archeologicamente, in poche parole non vale niente. A queste puerili affermazioni, ritornando al rituale di Bolsena, rispondono i fatti che portano a comprende benissimo un antico esempio di sacralità di un popolo.
È una circostanza, un fatto che racchiude un importante messaggio sacro. Il rito della fertilità per i prodotti agricoli, la stesura del calendario agricolo e liturgico, la conoscenza del moto delle costellazioni, dei cicli lunari e solari il concetto di festività, non è solo un rito “folcloristico”, ma è un grande spaccato di una civiltà. Perché possiamo affermare che la battitura del chiodo si inserisce in un contesto di riti e conoscenze. Scandire un rito, il tempo, il calendario, il concetto di festa, non significa riposo, ma significa dedicarsi a qualcosa al di fuori del comune vivere. Cosa può racchiudere nell’antichità il concetto di festa, di riposo, di dedicarsi a qualcosa nei giorni non lavorativi? I riti agrari erano fortemente collegati agli astri, alle costellazioni, alla conoscenza dei cicli stagioni, ai cicli solari e lunari. Questo concetto non ferma solo ad una semplice e normale constatazione per cui la prima cosa è la datazione e poi poco più. Qui ci troviamo di fronte ad un reperto importante. Il concetto di festa nasce come momento dedicato ai riti sacri. C’è il momento profano ed il momento sacro.
Il concetto assume anche una doppia forma, non più fenomeno individuale ma collettivo. Si tratta ora di coinvolgere un intero popolo. Quel momento del rituale era anche un giorno di esaltazione, di venerazione dello spirito e della mente, ma era soprattutto un momento di ringraziamento. La madre terra, le dea madre, la sua fertilità, i processi di culto che l’uomo ha avuto per millenni, hanno richiesto sempre speciali spazi sacri. Da un piccolo cerchio di pietre, fino ad edificare strutture architettoniche come templi, di tempo ne è trascorso. Il tempo trascorso ha portato ad una metodica diversa di venerazione ed organizzazione dei rituali. Prendiamo in considerazione un antico rituale svolto nel lago di Bolsena, la realizzazione dei tumuli di pietra intorno alle sorgenti termali chiamate “aiuole”(età del rame IV-III millennio). Erano tumuli con fini rituali e di culto delle grandi are elevate a 5 metri, con una superficie di qualche migliaio di metri quadrati. Questo tipo di attività cultuale era legato all’acqua, il suo culto era inserito già dentro un contesto sacrale: il lago, l’acqua. Quindi una delle prime testimonianze di riti sacri che ci ha lasciato la civiltà Rinaldoniana sono questi tumuli di pietra costruiti in riva al lago di Bolsena, imbrigliando sorgenti calde di origine vulcanica. C’è una prima fondazione sacra, antica, pre-etrusca svoltasi nel lago. Non è cosa di poco conto, anzi, a dire la verità non se ne parla con la dovuta valutazione storico-religiosa, anzi per niente. Eppure qui, siamo nel 1903 con i primi scavi in località Rinaldone (Montefiscone), vennero alla luce le prime sepolture di questa civiltà. Tra i vari reperti tombali furono trovate asce-martello di pietra e di rame. Oggetti che rappresentavano simboli legati alla figura della persona per la sua continuazione della vita. Un oggetto sacro, non più necessario nella vita terrena ma utile nella vita spirituale. In diverse tombe sono state trovate asce-martello nell’Italia centrale (periodo rinaldoniano). Un oggetto utile a doppia funzione, sicuramente prendendo spunto dall’ascia bipenne, che poi ritroviamo riprodotta in affreschi tombali o in ceramiche nell’arte etrusca. L’ascia-martello di Bolsena, creata appositamente per questo tipo di rituale, ha da una parte una testa che serviva per battere i chiodi e sull’altra parte, la lama o penna. Oltre a dare un immagine sacra era utile per incidere dei simboli. Qualche archeologo ha ritenuto a suo parere, e non in base a criteri scientifici, che il ritrovamento non è importante.
L’affermazione ha una duplice valenza: primo discreditare il ritrovamento sotto qualsiasi punto di vista, dargli una certa ma inutile importanza storico-archeologica; secondo, chiudere tutto in un cassetto…e buttare via la chiave. Allora sorge un grave comportamento: abusare degli incarichi istituzionali che una persona ricopre, e secondo dare inusuali affermazioni senza nessun criterio e confronto. L’esempio lo abbiamo di fronte, è un comportamento così particolare da demarcare il livello culturale, intellettuale, di certe persone. Il fatto è grave: nascondere, sottovalutare, dare giudizi personali ,senza un criterio, oppure non comprendere o far finta di non comprendere l’importanza del ritrovamento Bolsenese. Molti oggetti etruschi sono esposti nei vari musei del mondo , ceramiche,oggetti di bronzo, ecc. ,con delle belle ed interessanti descrizioni (spesso con una riga che dice “provenienza incerta” oppure si individua un’area geografica). Il ritrovamento di Bolsena ha un fattore peculiare, oltre l’indagine di rito, che ha portato alla sua scoperta, l’oggetto di per sé dice a che cosa serviva e dove serviva.
Quindi per concludere , l’evidenza dei fatti è molto chiara, a noi spetta il compito di far conoscere tutte le circostanze di merito e di comunicare che a Bolsena è stato trovato questo oggetto, che ha meritato una ricerca scientifica da parte dell’Accademia dei Lincei e che alcune persone hanno volutamente affossato.
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