Si è concluso in questi giorni il restauro della Porta di San Martino al Cimino. L’intervento commissionato dal Comune di Viterbo (Settore VI – Lavori Pubblici e Ambiente), in seguito alla segnalazione del Comando dei Vigili del Fuoco che allarmava il rischio di instabilità del monumento, si è svolto sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le Province di Roma, Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo (Arch. Tiziana Farina) ed è stato realizzato dal restauratore Emanuele Ioppolo, con la collaborazione di Andrea Presutti, Luca Costantini e Miriam Russo.
La Porta di San Martino al Cimino, che dopo l’abbazia cistercense è sicuramente l’opera più significativa del piccolo centro medievale, vanta il genio artistico di Francesco Borromini, che ne disegnò il progetto. Fu la gentil Donna Olympia Maidalchini Pamphilij, cognata di papa Innocenzo X, a commissionare il lavoro all’illustre architetto, quando lo stesso pontefice, dopo l’anno 1653, le confermò il principato “in perpetuo” di San Martino, concedendole anche la facoltà di costruire il nuovo paese.
La porta in peperino a montanti divaricati è caratterizzata da un finto bugnato ed è sormontata da un grande stemma papale in travertino inquadrato da due volute, in cui sono scolpite le insegne di Innocenzo X: tre gigli con una colomba che regge con il becco un ramoscello di olivo. Sopra all’arco d’accesso una grande lapide in marmo bianco di Carrara commemora, con una lunga iscrizione, la storia e la rinascita del paese sotto i Pamphilij.
Da un punto di vista stilistico la porta principale di San Martino riprende il modello, appiattito nelle modanature e con l’aggiunta della parte superiore, del portale inserito nel perimetro esterno di Castel Sant’Angelo a Roma, erroneamente attribuito al Peruzzi e solo di recente restituito alla paternità del Borromini.
Prima del restauro tutte le parti in pietra presentavano uno strato di “sporco” uniforme e aderente, costituito prevalentemente da particolato atmosferico depositatosi nel corso degli anni sulle superfici e da organismi biodeteriogeni, muschi e licheni. Ma le principali morfologie di degrado che conferivano alla porta uno stato di conservazione alquanto precario, erano relative al peperino. Difatti molti fenomeni di fratturazione, fessurazione ed esfoliazione avevano provocato delle cadute di materiale. Inoltre, la malta delle stuccature un tempo presente tra i conci era andata perduta.
L’intervento ha quindi previsto da un lato la rimozione delle stuccature in cemento realizzate in precedenti restauri, dall’altro un’attenta operazione di pulitura delle superfici, mediante trattamento biocida e rimozione meccanica degli organismi biodeteriogeni. Particolarmente delicata è stata poi la fase di consolidamento delle parti in peperino interessate da fenomeni di polverizzazione e decoesione, che si è svolta attraverso l’applicazione di appositi prodotti consolidanti o l’uso di micro perni in vetroresina inseriti nella pietra e fissati ad essa con resina epossidica. Il restauro si è concluso con la reintegrazione delle lacune, la stuccatura e la microstuccatura di lesioni e fratture, effettuate con una malta di calce e inerti simili per composizione e tonalità alla pietra originale.
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