-da Viterbo Civica-
Adesso che si sono spenti i riflettori delle giornate Fai di primavera, il complesso della Trinità torna alla consueta trascuratezza, all’indifferenza che caratterizza questa città verso i suoi gioielli. Le immagini parlano più di mille parole, crepe profonde, muffa sui muri, finestre rotte dal vento, tegole pericolanti, pericolose infiltrazioni d’acqua. I frati agostiniani fanno quello che possono, contando solo su privati e associazioni come Viterbo Civica.
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Qualcuno potrebbe obiettare che spetterebbe alla Curia risolvere i problemi delle chiese, che sarebbe logico che i frati andassero a lamentarsi presso la Santa Sede. Errore! Dopo l’unità d’Italia molte proprietà della Chiesa furono requisite dalla nascente Repubblica e a tutt’oggi sono proprietà dello Stato, gestiti dal F.E.C. Fondo Edifici di Culto, che fa capo al Ministero degli Interni.
Il Complesso della Trinità fa parte dei beni dello Stato, questo significa che anche per mettere un chiodo c’è bisogno del consenso della Soprintendenza delle Belle Arti, ma che è praticamente impossibile ottenere soldi per restauri, per la mancanza cronica di fondi.
A questo punto sarebbe il caso che il Comune si occupasse dei lavori di restauro, forte di quel patto di riconoscenza stabilito nel 1344. Oppure dovrebbero essere i fedeli a occuparsene, poiché la Trinità custodisce l’immagine della Madonna protettrice della città.
Purtroppo il silenzio delle istituzioni e il numero di fedeli sempre più scarno, è un sintomo evidente che stiamo dimenticando il nostro passato, perdendo le radici identitarie della nostra cultura e della nostra storia, proprio in un momento in cui tutti a gran voce professano l’importanza di difendere la nostra civiltà dalle invasioni di altri popoli.
Eppure c’è stato un tempo che la chiesa della Trinità era talmente piena di fedeli che si dovette ampliare la struttura per contenerli tutti, c’è stato un tempo in cui la statua lignea della Madonna Liberatrice era collocata nella loggia del Palazzo dei Priori. Tutto dimenticato!
Durante le giornate di Primavera di ieri, solerti guide del FAI hanno ripetuto la leggenda che avrà divertito qualche sparuto turista, di quando il lunedì di Pentecoste del 1320, qualcosa di terribile accadde a Viterbo, le cronache antiche raccontano che improvvisamente il cielo diventò nero e divampò un temporale talmente violento e terrificante che si temette la città potesse sprofondare. La gente notò nel cielo qualcosa di terribile, “demoni di cui l’aria era tutta piena, sotto forma chi di corvi, chi di nottole e chi di aquile molto grandi e spaventose, che incessantemente gridavano: L’inferno vi aspetta”.
I viterbesi spaventati da queste apparizioni, invocarono a gran voce la misericordia della Vergine Maria, che apparve “Andate alla Chiesa della Santissima Trinità, e ivi ritrovarete alla sinistra della cappella di S. Anna una immagine, che è il mio ritratto, e avanti a quello supplichevolmente invocatemi”.
Il popolo corse alla piccola chiesetta fuori città, trovato l’affresco della Madonna, s’inginocchiarono tutti per pregare e, miracolosamente, il temporale cessò. Anche i demoni furono cacciati “a vista di tutto il Popolo si precipitarono con urli orrendissimi in quel tal picciolo lago perpetuamente ardente, che chiamasi il Bullicame.”
Da quel momento l’immagine della Madonna fu riconosciuta protettrice della città di Viterbo e le fu attribuito il titolo di Liberatrice. Gli antichi Statuti riportano che nel 1344 il Comune di Viterbo stabiliva che la festa della Madonna Liberatrice si celebrasse ogni anno con grande solennità.
Il culto mariano dei viterbesi aumentò sempre di più, attribuendo alla Madonna Liberatrice altri miracoli, che contribuirono a rafforzare la convinzione che effettivamente quell’immagine proteggesse la città.
Il 12 novembre del 1715, il quadro ricevette dal Capitolo Vaticano il privilegio dell’imposizione della corona d’oro, un riconoscimento ufficiale di culto. Infatti, nel 1750 la chiesa fu dichiarata Santuario Mariano.
Il 12 novembre di quest’anno saranno 300 anni dalla prima incoronazione del quadro, sarebbe bello poter festeggiare in modo solenne la ricorrenza, in una chiesa senza crepe, senza macchie di umidità sui muri, senza infiltrazioni d’acqua. Sarebbe bello che i viterbesi si ricordassero che questa chiesa esiste, senza dover aspettare che il FAI glielo ricordi.
Abbiamo in città la facoltà di Conservazione dei Beni Culturali, perché non istituire un cantiere scuola per restaurare almeno i dipinti?
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