– di Eleonora Straffi –
Abbandonata in un angolo della ferrovia di Viterbo. Una motrice del 1932, che se potesse parlare, racconterebbe molto di più di un libro di storia.
Al suo interno si sono accavallati, un tempo, discorsi politici, sono saliti e scesi personaggi storici più o meno famosi. In un’epoca remota, forse, al suo arrivo, era acclamata come si acclama ora un divo sul red carpet ed il suo sferragliare aveva fatto tremare paesi.
Sì perché quella motrice, ora destinata ad arrugginirsi ed ad essere soggetta di atti vandalici, tanti anni fa era la carrozza di Benito Mussolini.
È stato Giancarlo Lelmi a scoprirla, mentre passeggiava per la stazione di Porta Romana di Viterbo in cerca di notizie per aggiornare il suo sito, “La ferrovia Roma Nord”. Incuriosito, ha chiesto informazioni al personale che, con nonchalance, ha risposto che la vettura era appartenuta al duce.
La carrozza è stata trasformata in un convoglio come gli altri. Le poltrone, i tappeti, i lampadari sono stati sostituiti dai classici sedili. Ora non cammina più e, probabilmente, il suo ferro è destinato ad essere venduto per un pugno di euro al Kg.
Un altro reperto storico mandato in malora solo perché non si ha la coscienza, o la conoscenza del fatto che “Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico.( Art. 10 del D. Lgs 42/2004)”
Proprio ieri sera il noto critico d’arte Philippe Daverio ha affrontato nella trasmissione #serviziopubblico lo scottante tema della disfunzionalità nella gestione dei beni pubblici.
In un piccolo paese della Francia o della Germania sicuramente la carrozza sarebbe diventata il simbolo di qualche museo generando anche un notevole indotto economico ad esso collegato.
Viterbo invece è stata capace solo di mandarla allo sfascio.
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