Attesissimo l’incontro con Antonio Ingroia, ospite per l’ultimo appuntamento del Salotto delle 6 on the road. Sala Consiliare “Falcone e Borsellino” come previsto affollata e attenzione altissima da parte dei numerosi intervenuti, che non sono voluti mancare al gran finale che Pasquale Bottone ha riservato al nuovo e subito fedele pubblico di Soriano nel Cimino.
Un intervento intenso quello dell’avvocato, che ha toccato vari argomenti: dalla crisi finanziaria allo stato attuale della politica italiana, che vede in scena grandi comunicatori ma non grandi politici; dalla Costituzione, che necessita sicuramente di “manutenzione” ma non di stravolgimenti, ai tagli della spesa pubblica, nel settore militare in primis.
Il ruolo della magistratura, che dovrebbe essere soggetta solo alla Legge come è scritto nella Costituzione; l’indipendenza della magistratura, che dovrebbe essere non uno status del giudice ma un diritto del cittadino.
Su invito di Bottone, l’avvocato Ingroia si sofferma sulla trattativa Stato-mafia: all’interno dello Stato si verificò al tempo delle stragi una crescente insofferenza verso le indagini sulla trattativa, visto che la scelta delle Istituzioni fu quella della convivenza e non della intransigenza nei confronti delle associazioni mafiose, nell’ottica di una politica di contenimento. “La stagione stragista” afferma Ingroia, “aveva come posta in gioco non la vendetta dei mafiosi ma la ricostruzione di un nuovo patto politico; la mafia non ha mai in realtà fatto guerra allo Stato, cercando sempre la pace con esso, come era solito sostenere Paolo Borsellino. L’omicidio di Salvo Lima fu la rottura del patto tradizionale con lo Stato italiano”.
Un veloce accenno al dibattuto e conflittuale rapporto tra politica e magistratura, dove la politica, che spesso ha voluto imporre il suo primato, ha sempre chiesto ai magistrati di fare un passo indietro, e le battute finali.
“Quali i risultati più gratificanti della sua carriera?”
“La cattura dei latitanti, quasi tutti per molto inafferrabili, tra il ’93 e il ’97; la condanna degli imputati; l’essere riusciti a colpire la mafia nel suo cuore finanziario restituendo alla comunità pezzi di un patrimonio”.
“Cosa le è rimasto impresso di Falcone e Borsellino?” gli domanda Pasquale Bottone.
“Il metodo del primo e l’intransigenza del secondo”.
“Cosa può dirci del caso Manca?”
“Fu un’indagine partita male, ricca di depistaggi, e fatta male, sia da parte degli investigatori che da parte della Procura di Viterbo.”
“E della sua avventura politica?”
“All’epoca fu una scelta obbligata, la prosecuzione di un impegno giudiziario. Di certo non la rinnego”.
“’Vent’anni contro’ è il titolo del suo ultimo libro, i prossimi venti come saranno?”
“Spero ‘con’ dopo questi primi venti contro”.
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