Soriano nel Cimino ha accolto con intensa e grande partecipazione l’evento di apertura del
Sal8 delle 6, dedicato alla misteriosa morte di Attilio Manca. Gremita e silenziosa la Sala Consiliare “Falcone e Borsellino”, che ospiterà tutti i venerdì fino al 4 aprile la manifestazione ideata e diretta da Pasquale Bottone.
In un clima emotivamente molto coinvolgente, davanti ad un pubblico attentissimo e partecipe, Bottone ha lasciato la parola, dopo i saluti di rito, agli ospiti della serata, il giornalista Luciano Mirone e l’avvocato Gianluca Manca, fratello dell’urologo scomparso. Si è voluto sin da subito delineare un ricordo dell’uomo, “antitesi del depresso e dello schiavo di droghe”, come ha ben osservato Bottone. Attilio Manca era un uomo di grande cultura e con tanta voglia di conoscere, doti che non gli hanno portato fortuna. Gianluca parla con toni pacati del fratello che suonava la chitarra, il violino, praticava il basket, amava il windsurf, si dilettava di programmazione informatica, ma i suoi occhi tradiscono un profondo dolore. Alla morte, continua Gianluca, lo hanno portato la sua professione a Viterbo, a Belcolle, e la sua provenienza territoriale, la Sicilia. Oltre al fatto di essere un giovane luminare che da poco aveva importato dalla Francia la tecnica della laparoscopia per curare il cancro alla prostata.
Il caso Manca, sottolinea Mirone, è il paradigma di una certa Italia, ed è molto importante, continua il giornalista, che l’opinione pubblica non si accontenti della versione ufficiale, cosa testimoniata anche dal numerosissimo pubblico presente in sala, più di cento persone venute per conoscere la verità dei fatti.
E dai fatti subito parte Mirone, da quel 12 febbraio 2004 alle 11 di mattina quando Attilio viene ritrovato cadavere dal caposala del Belcolle – alle 7.30 Manca avrebbe dovuto presentarsi in ospedale per un intervento.
Riverso sul letto, con indosso solo una maglietta bianca. I pantaloni ben piegati sulla sedia, lui che non li piega mai. A terra un’ampia pozzanghera di sangue, “sostanza ematica” per la polizia e per i medici del 118. È sconvolgente leggere i verbali della polizia, continua Mirone: non un solo accenno al volto sfigurato dal sangue, al setto nasale deviato, alle labbra tumefatte, ai testicoli gonfi, enormi, alle ecchimosi sulla sacca dei testicoli e su altre parti del corpo.
Due buchi sul braccio sinistro, sul braccio di un mancino puro, e due siringhe ritrovate una in bagno, una nella pattumiera della cucina. Si parla perciò di morte per overdose di eroina, un vero e proprio controsenso se si considera che nei primissimi giorni dopo il ritrovamento la causa della morte del brillante urologo viene attribuita ad un aneurisma, come chiaramente si legge sulle testate viterbesi e su quelle siciliane. Al momento quindi la famiglia non nomina né un avvocato né un perito. Contemporaneamente vengono sequestrate alcune cose di proprietà di Attilio: il pc, gli appunti, le ricerche mediche.
“Non ho mai pensato che mio fratello fosse morto per aneurisma o suicidio, per me fu chiaro da subito” incalza Gianluca. “Un nostro cugino, invischiato nella vicenda della morte di Attilio, sapeva delle siringhe sin dall’inizio e mi disse poco dopo la morte di Attilio di non dire nulla ai miei genitori a proposito, ma di avallare la versione dell’aneurisma cerebrale”. “La Procura della Repubblica – continua – non ha valutato le incertezze ma ha fatto orecchie da mercante, facendo finta di non parlare, tutelando chi ha compiuto un misfatto e non chi ne è rimasto vittima”.
Bottone si sofferma sulle ultime importantissime 28 ore della vita dell’urologo: Attilio è nervoso, fa telefonate, è preoccupato. Contatta il suo professore perché vorrebbe tornare a lavorare al Gemelli di Roma, il 10 febbraio non si presenta ad un appuntamento e lui che è sempre molto scrupoloso non telefona neanche per avvertire. In quelle ore si dice abbia incontrato una donna, Monica Mileti, recentemente rinviata a giudizio, che gli avrebbe ceduto eroina. Di questo fatto non ci sono al momento prove. La donna smentisce l’incontro e afferma che Manca non fa uso di droghe.
La ricostruzione degli eventi si alterna alle letture appassionate dell’attrice Annalisa Insardà e all’intervento dell’onorevole Francesco D’Uva, componente della Commissione Parlamentare Antimafia e dell’Associazione Nazionale Amici di Attilio Manca, che sottolinea la necessità di far chiarezza con delle interrogazioni parlamentari.
Si torna alla cronaca, ai fatti: nelle ultime settimane si è appurato che in realtà, contrariamente da quanto scritto nella relazione dell’ex commissario Gava, Attilio è assente da Belcolle nel periodo in cui Provenzano è in Francia per l’operazione alla prostata. Questo è uno dei lato oscuri della vicenda, assieme alla mancanza di impronte sulle siringhe, al non ritrovamento dei guanti eventualmente usati da Attilio, alle ecchimosi sul cadavere, al setto nasale rotto, all’impronta palmare di Ugo Manca ritrovata in bagno, alla lista del parquet divelta nella camera di Attilio, al non ritrovamento di strumenti per l’uso di eroina. È possibile quindi ipotizzare che il giovane medico sia stato trattenuto, immobilizzato, preso a calci e a pugni e drogato?
Altro mistero, le due telefonate sparite dai tabulati telefonici: una da Attilio alla madre dalla Costa Azzurra, nello stesso periodo dell’operazione di Provenzano, in cui il medico riferisce alla madre di dover assistere a un intervento. La seconda, ai genitori, in cui Attilio fa un discorso strano sulla sua moto al mare, quasi fosse un messaggio cifrato.
Ennesimo mistero di questi ultimi giorni: l’esame tricologico, che nella conferenza stampa della Procura di Viterbo di due anni fa viene dato per effettuato mentre in realtà non è mai stato compiuto.
L’avvocato Ingroia parla di insabbiamento e di mistificazione della verità, il saggio di Mirone, “Un «Suicidio» di mafia” (Castelvecchi) è un’indagine giornalistica attenta che mette insieme i fatti e vuole serenamente accertare il perché della morte di Manca, che sia per overdose o per omicidio, senza pregiudizi. La famiglia chiede che venga fatta luce su una morte per omicidio camuffata da suicidio.
A dare respiro e fiducia è arrivata la sentenza del giudice Franca Marinelli depositata il 4 marzo: “Il vaglio dibattimentale si impone per l’accertamento della verità sostanziale”: lo stesso Palazzo di Giustizia di Viterbo, reo di “cose inenarrabili”, è intenzionato ad accertare la verità. E non solo quella processuale. Forse sapremo se c’è effettivamente un legame con Provenzano, coi suoi postumi operatori curati, forse, tra l’Alto Lazio e la Sicilia, e con la sua presunta presenza a Barcellona Pozzo di Gotto, ospite in un convento durante la latitanza.
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